"Correttamente accostata dal Ruggeri a un prototipo tizianesco ravvisabile nella Venere dormiente della Gemäldegalerie di Dresda, la presente opera fa il paio con una tela d'identico tema, ma di più ampie dimensioni, di proprietà della Cassa di Risparmio di Padova (Ruggeri, 1988, p. 112).
Nell'allegro strimpellare di uno stuolo di putti la dea dell'amore si desta esibendo senza pudore alcuno la bellezza delle proprie nude forme. Nella sua postura si distinguono concordanze con altri lavori di similare genere attesi dal Varotari quali la Venere in un paesaggio del Musée des Beaux-Arts di Grenoble e il medesimo soggetto esistente in Ca' Vendramin Calergi di Venezia. Palesi richiami alla nostra tela si notano parimenti nella Venere protagonista con Marte e Amore di una tela conservata agli Uffizi di Firenze.
La Venere si risveglia, come detto, tra l'allegro suonare di putti, in alto a sinistra il firmamento è rischiarato del sorgere del sole. Un drappo rosso racchiude a destra la scena con proposito di fondale. Venere, ai cui piedi sono abbandonati alcuni vessilli simboli di una guerra sottomessa alla forza di quell'amore che è sua evidente prerogativa, allude con l'indice alzato della mano destra allo sbocciare di un nuovo giorno.
Indubbia è la matrice tizianesca del dipinto, fedele riproposizione della giovanile produzione del grande cadorino, in un'apodittica rilettura di matrice classicista da parte del Varotari sui quei testi mitologico-campestri propri della rinascenza figurativa lagunare.
La compatta nudità della Venere e i colori smaltati fanno propendere per una datazione ai primi anni del terzo decennio del diciassettesimo secolo, al tempo in cui erano assai forti gli intendimenti del Padovanino nel riproporre i baccanali di ancor fresca memoria giorgion-tizianesca."